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Una gestione ispirata a modelli aziendali. La voce dei formatori

Il clima di lavoro all’interno del DFA si è andato progressivamente deteriorando. L’apice è stato raggiunto lo scorso luglio quando, di fronte a una proposta di Summer School 2011 elaborata dalla direzione, i formatori hanno reagito rivendicando spazi per dibattere sui problemi che da tempo travagliano l’istituto. 

Così le progettate giornate volte a conseguire obiettivi come Fare tesoro dei risultati e dei successi; Creare insieme una bella giornata; Identificare il vostro contributo per trasformare le difficoltà in modo da essere allineati su ciò che vogliamo creare; ecc. sono state sostituite da gruppi di lavoro desiderosi di approfondire situazioni di reale disagio. Abbiamo contattato alcuni formatori per conoscere il punto di vista di chi lavora nell’istituto. Poco tempo dopo la direttrice del DFA è stata sollevata dalle sue funzioni e i nostri interlocutori hanno espresso alcuni dubbi sull’intervista, alla luce proprio del mutato contesto e della situazione transitoria che ora sta attraversando l’istituto. Hanno comunque risposto ad alcune delle nostre domande e li ringraziamo per la loro disponibilità. Si potrà sicuramente tornare nei prossimi mesi su questi argomenti.

Come giudicate il passaggio della formazione dall’ambito cantonale dell’ASP a quello della SUPSI?

Il passaggio è avvenuto per i seguenti motivi:

a) la necessità della terziarizzazione della formazione dei docenti, per la quale si potevano immaginare due vie: USI o SUPSI, inimmaginabile infatti la terza via mantenendo un istituto separato come lo era stata l’Asp.

b) Risolvere i problemi formativi registrati nel periodo Asp come per esempio la formazione dei docenti di scuola media e media superiore.

La prospettiva del passaggio lasciava intravvedere una definizione nuova e innovativa della formazione rispetto a quanto vissuto nel periodo ASP.

1. Le aspettative erano quindi positive e la maggior parte dei docenti vedeva, nel passaggio alla Supsi, un’occasione per riflettere sul senso globale della formazione e sulla relazione tra professionalizzazione dei docenti del Cantone e terziarizzazione. Le aspettative in tal senso sono state in gran parte disattese, è mancata e manca una riflessione approfondita sul disegno formativo proposto.

2. Un’altra chiara aspettativa era la possibile collaborazione con gli altri dipartimenti della SUPSI in modo particolare i Dipartimenti di scienze aziendali e sociali, della sanità e dell’ambiente costruzioni e design, così da creare una rete di risorse condivise. I docenti del DFA avrebbero dovuto costituire una risorsa per gli altri dipartimenti per quanto attiene alla formazione pedagogica e didattica dei formatori.

Ad oggi, neppure il Sedifo  (Servizio didattica e formazione) che aveva proprio questa caratteristica e che è stato assegnato alla responsabilità della direttrice del DFA è stato attivato, di conseguenza ogni dipartimento deve auto organizzarsi.

3. Il processo di terziarizzazione doveva essere sostenuto anche dall’integrazione dell’Ufficio Studi e Ricerche (USR) nel DFA, le aspettative erano quindi quelle di una vasta riflessione sul senso della ricerca in educazione e sul senso della ricerca per la formazione dei futuri docenti, per sostanziare questa scelta l’USR avrebbe dovuto assumere lo statuto di Istituto di Ricerca. Le scelte della direttrice hanno fin da subito condizionato il lavoro del centro, in quanto  il direttore dell’USR non è stato nominato responsabile della ricerca. Il Centro innovazione e ricerca sui sistemi educativi (CIRSE) di fatto non ha mai avuto lo statuto di  istituto ma solo quello di centro di competenza subordinato dunque al responsabile della ricerca, membro della Direzione. Responsabile che si era fino ad allora occupato di ricerca all’USI nel campo delle scienze della comunicazione che, troppo spesso e  del tutto inopportunamente, vengono identificate con le scienze dell’educazione, il CIRSE non ha quindi risposto alle aspettative inerenti la qualità della ricerca.

4. Per potenziare la ricerca è bene ricordare che è stato istituito un Master di II livello in ricerca in educazione, in collaborazione con l’Università di Trento, a cui hanno partecipato una quindicina di docenti, malgrado ciò non sono state promosse valide sinergie tra CIRSE e docenti già in funzione.

L’insegnamento impartito e i programmi d’insegnamento sono stati modificati con il passaggio al DFA?

Quale idea di scuola emerge dall’orientamento del DFA?

Sono state introdotte alcune modifiche, per lo più di tipo formale e organizzativo, per rendere il piano degli studi compatibile con il Modello di Bologna che prevede moduli con un numero di ECTS (European Credit Transfer and Accumulation System) non troppo ridotto, spesso però con risultati poco efficaci anche sul piano organizzativo, in tutti i casi non hanno portato ad un miglioramento della qualità della formazione e non hanno consentito di risolvere i problemi da tempo segnalati.  Le scelte sono state attuate senza coinvolgere i docenti,  poco ponderate, dovute a risposte immediate ai problemi, con cambiamenti di rotta frequenti. Per esemplificare: le visite formative per il Master decise, tolte, reintrodotte, …

Alle critiche espresse da molti formatori la direzione risponde con due argomentazioni, entrambe molto fragili, la prima il tempo necessario per introdurre cambiamenti significativi (in due anni la direttrice non ha saputo delineare neppure un modello formativo chiaro cui tendere); la seconda la resistenza dei formatori (in particolare di quelli con molta esperienza) al cambiamento, cosa del tutto inveritiera. A livello di Direzione si parla tanto di “terziarizzazione”  ma questa scelta non viene mai esplicitata nel suo farsi e non viene neppure messa in relazione con il fondamentale compito della professionalizzazione dei docenti. D’altro canto la professionalizzazione  sembra non interessare alla direttrice che non si preoccupa di quanto avviene o potrebbe avvenire a livello formativo, si vedano  i cambiamenti dei criteri per l’assunzione dei formatori del Dfa, l’assegnazione dei compiti, l’assenza della direttrice nei momenti di incontro con gli studenti  per l’avvio dell’anno accademico, il cambiamento di rotta a 360 gradi relativo alla comunicazione dei dati raccolti presso gli studenti  inerenti il grado di soddisfazione dei corsi, …

L’unica cosa che appare chiara è un modello istituzionale decisamente gerarchico, poco incline alla democratizzazione, poco in ascolto delle voci dei docenti interni e del territorio; cioè una gestione del potere ispirata a modelli aziendali (ormai sorpassati anche nelle aziende)  che si basano su negoziazioni contrattuali individuali assolutamente non trasparenti, sul modello “della carota e del bastone” o del “padre padrone”. La posizione individuale, nella configurazione istituzionale, non dipende quindi dalle qualità e dalle competenze ma da altri fattori. Si legittima l’assegnazione di ruoli, che poi implicano la presa di decisioni importanti, in funzione della “vicinanza” espressa dai singoli alla direttrice.

Le conseguenze di questa gestione del potere:

a) decisioni banali, inopportune, di ritorno al passato, con continue contraddizioni e riprese exnovo dei temi da affrontare o dei problemi da risolvere, si veda ad esempio il questionario della commissione della qualità e della persona che ne ha la responsabilità;

b) le differenze notevoli tra un cahier des charges e l’altro, difficilmente spiegabili. Sono stati per esempio attribuiti cospicui oneri di ricerca per ricerche che fattivamente non sono state avviate;

c) diversi docenti cercano altre soluzioni professionali, palesemente, per loro, i cambiamenti avvenuti non hanno corrisposto alle loro aspettative, anzi vedono un notevole peggioramento rispetto alle condizioni precedenti;

d) la mancanza di trasparenza riguardo alle condizioni salariali rende poco attrattiva la candidatura di docenti con esperienza professionale e conoscenza del territorio attualmente operanti nel settore pubblico, le recenti assunzioni ne sono la dimostrazione;

e) il degrado del clima relazionale e della dimensione collaborativa, la tanto auspicata comunità di formazione rimane un miraggio;

f) uno scadimento generale della qualità della formazione perché viene a mancare un ricambio generazionale caratterizzato da un passaggio di competenze tra “vecchi” e nuovi docenti, si sta sperperando un capitale culturale, pedagogico e didattico riconosciuto dalla stessa direttrice agli inizi del suo mandato.

Una scuola che forma i docenti di tutti gli ordini di scuola dovrebbe proporre modelli di gestione partecipativi, attenti al clima di lavoro che dovrebbe essere accogliente e arricchente, così da fornire un  modello formativo coerente e che avvicini il vissuto degli studenti in formazione con  quanto saranno chiamati a proporre nei loro contesti di lavoro (vedi per esempio gli obiettivi educativi previsti negli orientamenti della scuola dell’infanzia, nei programmi della scuola elementare e nei piani di formazione della scuola media). Modelli propri di una scuola (che non è un’azienda) che si occupa di formazione professionale di adulti.

 

Intervista raccolta da

Roberto Salek e Rosario Talarico