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Questione di formazione

Una delle questioni aperte e spinose relative alla scuola pubblica ticinese è quella della formazione dei futuri docenti. Verifiche si è già occupata del tema, con una serie di articoli che evidenziavano pesanti carenze strutturali nel sistema di formazione gestito precedentemente dall’ASP (Alta Scuola Pedagogica).

Ricordiamo che a quegli articoli avevano risposto i responsabili del sistema di formazione, con tono risentito e polemico, negando le critiche e ribadendo con forza e convinzione la bontà e la qualità del servizio offerto.

I fatti, dopo poco tempo, hanno dimostrato che le nostre critiche non erano infondate, visto che l’Istituto è stato messo in discussione e poi definitivamente smantellato, a seguito delle carenze rilevate dalla Conferenza dei direttori cantonali (CDPE).

Da allora sono trascorsi più di due anni e l’intero apparato è stato dato in gestione alla SUPSI, che attraverso il nuovo istituto denominato DFA (Dipartimento formazione e apprendimento), si è trovata a gestire in appalto per conto del Cantone ciò che un tempo era, tramite l’ASP, controllato e gestito dal Cantone stesso.

Il cambiamento ha fatto sì che oggi il DFA abbia ereditato, chiavi in mano, l’intero apparato relativo alla formazione e abilitazione dei docenti di tutti gli ordini di scuola.

In più, in nome del diritto e dovere alla formazione, il nuovo Dipartimento della SUPSI può garantirsi un bacino d’utenza ampio, a prescindere dal fabbisogno reale di personale docente da parte del Cantone, agendo così anche come un’azienda, con tutto quello che ciò comporta.

I formatori che dipendevano dal Cantone, con il passaggio presso la SUPSI, hanno visto modificarsi il loro statuto di lavoratori e il contratto di lavoro è stato rinegoziato. Diversi validi collaboratori e formatori ASP hanno preferito cercare altre opportunità altrove, non ritenendo attrattive le condizioni di lavoro offerte dal nuovo datore.

Occorre ricordare che il Cantone finanzia la SUPSI per il servizio di formazione del personale docente e che gli studenti in formazione pagano una retta (circa 1600 Fr.) e che i formatori del DFA devono garantire gli stessi servizi che offrivano all’ASP con una condizione salariale peggiore.

L’ex Istituto di formazione pubblico si è trasformato così in un’azienda semiprivata, che gode di finanziamenti pubblici, ma con finalità non sempre coincidenti con la pubblica istituzione che lo finanzia, come vedremo più avanti. Questo mutamento riguarda però il quadro istituzionale di riferimento, mentre rimane da verificare la qualità del servizio offerto, e soprattutto resta da verificare se, a due anni di distanza, il nuovo Istituto abbia riconosciuto e affrontato i difetti del precedente sistema gestito dall’ASP.

Le premesse, visto il quadro istituzionale di riferimento, non sono incoraggianti e favoriscono una gestione aziendale e consumistica della formazione, e allontanano ulteriormente l’Istituto di formazione dall’istituzione scolastica, acuendo un problema già insito nel precedente sistema, spesso vissuto come distante e avulso dalla realtà scolastica e dal territorio.

Ci siamo proposti dunque di verificare sul campo il grado di soddisfazione che si respira nel nuovo Istituto del DFA, proponendoci di intervistare alcuni formatori. Ci siamo resi conto che gli interpellati sono molto reticenti a parlare, a esporsi in prima persona, perché palesano un clima intimidatorio, messo in atto dalla Direzione, caratteristico di una gestione imprenditoriale e privata, oltre che autoritaria e poco democratica, sfociata nel licenziamento della Direttrice Nicole Rege Colet, di cui parleremo in seguito.

Abbiamo potuto in  ogni caso raccogliere informazioni e testimonianze sufficienti a formarci un’idea delle problematiche e della qualità del servizio offerto, oltre che sul grado di soddisfazione degli operatori e degli utilizzatori del servizio, che sintetizziamo qui di seguito.

Premesso che la scelta di cambiare dal sistema di formazione en emploi precedente (metà tempo di lavoro e metà scuola di formazione) all’attuale sistema di scuola a tempo pieno su due anni, con eventuale incarico parziale solo nel secondo anno, non è dipeso dal nuovo Istituto di abilitazione; occorre comunque dire che il cambiamento ha reso ancora più importante il ruolo e la funzione del DFA e molto più oneroso e meno attrattivo il percorso di abilitazione all’insegnamento.

Dalla nostra inchiesta sono emerse molteplici problematiche, espresse sia dagli studenti che dai formatori, oltre che dagli esperti di materia.

I formatori che non si sono espressi apertamente, hanno condiviso con noi una copiosa documentazione da loro prodotta, relativa al dibattito interno al DFA, svoltosi quest’estate durante la Summer School (4-8 luglio 2011, giornate di bilancio interno del DFA), da cui emerge un quadro contraddittorio e un malcontento diffuso sulle modalità di gestione e sui criteri adottati dalla direzione dell’Istituto.

Quello che ci sembra più importante, ai fini del bene della scuola pubblica, dal nostro punto di vista, è però focalizzarci sull’aspetto didattico del DFA in qualità di ente formatore di nuovi docenti, sulla sua capacità di relazionarsi col territorio e di leggere e interpretare correttamente le richieste di formazione della scuola e del personale docente del Cantone.

Per la nostra analisi ci avvaliamo dei documenti di bilancio dei gruppi di lavoro, che si sono espressi durante la Summer School, concentrandoci in particolare sul tema della valutazione e sul rapporto col territorio.

Il tema della valutazione è cruciale per qualsiasi percorso di insegnamento, a maggior ragione lo è quando si tratta di valutazioni sommative e certificative che legittimano l’entrata nel mondo del lavoro. Ricordiamo ai lettori che il problema della valutazione era già un tema spinoso e controverso ai tempi dell’ASP, dove gli studenti si lamentavano per il fatto che ci fosse scarsa chiarezza nei criteri di valutazione e scarsa aderenza dei contenuti dei corsi proposti con le richieste del mondo professionale.

Ora leggendo il documento del “gruppo valutazione” del DFA, emerge un bilancio in cui i punti di debolezza risultano essere i seguenti:

  • Tendenza diffusa alla valutazione di conoscenze (e non di competenze)
  • Insegnamento non sempre adatto alla valutazione
  • Accorpamenti artificiali di corsi in moduli: difficile valutare la progressione
  • Difficoltà di capire la logica di costruzione di certi moduli
  • Scarsa conoscenza diffusa del quadro istituzionale / dei Piani di formazione.
  • Mancanza di coordinamento

Questo per quanto riguarda il punto di vista critico espresso dai formatori e la loro percezione sugli aspetti dolenti del loro procedere, mentre la percezione che gli studenti avrebbero dell’approccio valutativo è da loro interpretato e descritto, nel seguente modo: “Da tutti i dati in nostro possesso emerge con chiarezza che gli studenti hanno l’impressione di subire troppe prove di valutazione. È però altrettanto vero che nel Master – con l’eccezione del Modulo di ricerca – il numero di prove negli ultimi anni è diminuito. Come si spiega questa apparente contraddizione? La spiegazione più plausibile sembra essere che gli studenti in realtà contestino il senso di molte prove. Per fare qualche esempio: l’itinerario didattico da produrre nella Pratica professionale1 Master (spesso non preso in considerazione per la valutazione della pratica, perché le commissioni si basano soprattutto sull’esito delle visite e sul rapporto del DPP), la dispersione dei lavori da produrre nell’ambito della pratica (che poi non ricevono un adeguato riscontro), ecc.

In tal modo si è verificata anche una frammentazione delle valutazioni che porta ad apprendimenti non ottimali: lo studente “studia” la differenziazione per l’esame sulla differenziazione e non per insegnare la sua materia facendo capo alla differenziazione.

Da questo quadro si evince che l’offerta didattica di alcuni moduli, oltre che i criteri di valutazione adottati dai formatori, sono spesso confusi, poco aderenti alle necessità di formazione e poco efficaci didatticamente. A ben vedere si tratta delle stesse carenze che erano rilevate ai tempi dell’ASP, con la differenza sostanziale che, in questo caso, si assiste ad uno scollamento maggiore tra realtà dell’Istituto di formazione e realtà del territorio. Questo aspetto è reso evidente dal gruppo di lavoro “Rapporto col territorio” laddove si dice che: “sussiste una grande discrepanza tra aspettative del territorio sul profilo del docente in entrata ed il profilo del docente in uscita del DFA.

Prova ne è il fatto che vi sono studenti che escono con medie brillanti dal DFA e che non vengono scelti dagli esperti per il settore Master. Questo implica che le due parti dovrebbero trovarsi insieme per discutere sugli aspetti importanti da condividere per formare e valutare”.

Detto in altre parole, ci troviamo di fronte  ad una contraddizione strutturale, i criteri di valutazione dell’ente che seleziona e prepara i docenti non corrisponde sempre con i criteri di valutazione degli esperti di materia che operano per conto del Cantone, che però ha commissionato al DFA la selezione dei candidati in entrata e la preparazione degli stessi all’insegnamento. Da ciò deriva che non vi è comunità d’intenti e di vedute tra esperti di materia e formatori delle didattiche disciplinari nel DFA.

Sarebbe importante che i concetti formativi e le aspettative del territorio e del DFA fossero condivisi. In questo processo di condivisione sarebbe interessante anche la partecipazione degli esperti...”.

Le problematiche già evidenziate nel precedente sistema di formazione gestito direttamente dal DECS sono presenti ancora nel nuovo sistema, ma con l’aggravante di un allontanamento dei due mondi, quello della formazione e quello del luogo di lavoro, con la conseguente perdita di senso per gli studenti e confusione sugli obiettivi e sui ruoli, oltre che sul progetto complessivo intorno alla figura del futuro docente. Dobbiamo a questo proposito far notare che attualmente è il DFA a svolgere i colloqui di selezione del futuro corpo docente cantonale e che solo alla fine del secondo anno di formazione, dopo aver ricevuto un probabile incarico parziale che lo vede già entrare nella scuola, qualora vi sia ancora disponibilità di ore d’insegnamento, il candidato sostiene il vero e proprio colloquio di assunzione. In questo frangente si sono verificati casi in cui candidati valutati molto positivamente dal DFA sono stati ritenuti dagli esperti di materia insufficienti.

Lo scollamento in questi casi è totale e rileva una contraddizione interna e di principio, in cui il datore di lavoro sconfessa l’operato dell’azienda a cui continua a riconoscere lo statuto per cui la sconfessa, dove è evidente un ulteriore allontanamento del DFA dalla realtà del territorio scolastico per cui opera.

Il documento di riflessione sul “Rapporto col territorio” sintetizza le problematiche individuate in questi cinque macroaspetti:

  • L’autonomia e la dipendenza che il DFA dispone o subisce nel suo ruolo di mandatario per il Cantone;
  • Il servizio che il DFA è tenuto a proporre in funzione delle necessità della realtà scolastica ticinese, tenendo al contempo conto dei bisogni specifici del DFA;
  • La gestione e la struttura delle pratiche professionali e il rapporto con i DPP;
  • La mancanza di disponibilità al dialogo, alla comunicazione ed all’ascolto;
  • La mancanza di chiarezza sull’identità del DFA e del rapporto con la scuola da un lato e la SUPSI dall’altro.

Oltre ai punti sopra elencati, occorre aggiungere quelli descritti nello stesso documento, quali risultati delle mappe concettuali:

  1. Mancanza di comunicazione e ascolto da parte della direzione nei confronti delle richieste di studenti, formatori, ricercatori e DPP. Ne deriva un clima di lavoro pesante, sovraccarico di impegni e poco trasparente.
  2. Mancanza di coinvolgimento dei formatori, dei ricercatori, degli studenti, del personale amministrativo e dei DPP nella presa di decisioni, che dovrebbero essere condivise e non imposte.

Emerge un quadro oggettivamente controverso e poco rassicurante, se pensiamo a quanto sia delicato e importante il compito a cui il DFA è chiamato a rispondere.

Inoltre è sintomatico che i primi due punti vertano proprio sull’ambivalenza dell’Istituto, che rivendica un’autonomia gestionale e nel contempo agisce per conto del Cantone.

Permane la cronica mancanza di disponibilità al dialogo e all’ascolto che paradossalmente contraddistinguono un dipartimento che, tra le altre cose, dovrebbe insegnare a fare proprio questo. La notizia della rimozione dalla carica della Direttrice del Dipartimento Nicole Rege Colet, avvenuta per unanime decisione del Collegio direttivo, conferma un clima di lavoro pesante, sfociato nella defezione di formatori validi, ma siamo convinti che proprio per quanto asserito sopra, non ci si potrà limitare a sostituire una singola persona per pensare di rimediare ai problemi e ai difetti strutturali che l’Istituto di formazione oggi evidenzia.

Carenze e difetti che erano già presenti nel precedente sistema, ma che ora si trovano decuplicati e immessi in una macchina ancora più complessa e contraddittoria, oltre che lontana dal mondo istituzionale della scuola pubblica, che non favorisce per molteplici aspetti la semplificazione di un problema già di per sé spinoso e complesso, quale quello della formazione culturale e professionale dei futuri docenti delle scuole pubbliche comunali e cantonali ticinesi.

Occorrerà davvero riflettere e agire con lungimiranza e capacità autocritica per affrontare e migliorare questo servizio importante anche con il coinvolgimento di tutti gli attori della scuola pubblica e con la volontà da parte dei responsabili del Dipartimento di ascoltare e accogliere le critiche quali elementi di stimolo e di crescita, invece di irrigidirsi e arroccarsi  nelle loro certezze.

Infine, resta ancora tutto da chiarire il modello e l’idea di docente che s’intende formare e quale dovrebbe essere il modello teorico di riferimento del processo di formazione dell’Istituto e sarebbe opportuno richiedere che venisse esplicitato, discusso e reso di pubblico dominio, in modo trasparente e accessibile.

Ci auguriamo quindi che il licenziamento della Direttrice, sia solo il primo importante passo, verso un profondo e radicale ripensamento e conseguente mutamento di rotta del DFA, che coinvolga tutti gli attori che si occupano della formazione, per affrontare le problematiche emerse e possibilmente cercare di risolverle.

 

Roberto Salek