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DFA quo vadis?

Per oltre un secolo la Scuola Magistrale cantonale ha formato le maestre e i maestri delle nostre scuole comunali e in questa sua importante funzione è sempre stata oggetto di particolare attenzione da parte del mondo politico e dell’opinione pubblica. Fu anche al centro di accese controversie in occasione della nomina di qualche direttore e, soprattutto, durante l’occupazione studentesca nella primavera del ’68. L’istituto locarnese era anche un luogo di cultura, dove insegnavano uomini di grande prestigio come Piero Bianconi, Giovanni Bonalumi, Virgilio Gilardoni e Guido Pedroli, esponenti del mondo culturale che era intimamente legato al territorio e alle sue vicende passate e presenti.

Passato e presente

A partire dalla metà degli anni ’80 si sono susseguite tre riforme. Dapprima la formazione dei docenti è diventata post-liceale (riforma auspicata da decenni), poi nel 2002 la Magistrale è diventata Alta Scuola Pedagogica (ASP) con il compito di preparare anche i candidati all’insegnamento nei settori medio e medio superiore. Infine, per ovviare a vere o presunte disfunzioni dell’ASP, nel 2009 la formazione dei docenti delle nostre scuole è stata affidata, tramite mandato di prestazione, al Dipartimento Formazione e Apprendimento (DFA) della SUPSI. Una riforma salutata dai più, DECS in testa, con toni entusiastici, per il semplice fatto che la formazione dei docenti veniva “finalmente” affidata a un istituto universitario. Pure da sinistra erano giunte molte approvazioni, ma anche non poche riserve. Con pochi altri avevo combattuto questa operazione ritenendola un grave errore politico, in quanto la Scuola Pubblica stava perdendo una componente fondamentale. In occasione del dibattito parlamentare ero intervenuto per denunciare questa “revisione dei compiti dello Stato”, che, a mio avviso, si poneva in palese contrasto con il principio del primato della scuola pubblica sancito dal 74% del popolo ticinese il 18 febbraio 2001. Invece il Gran Consiglio ha entusiasticamente avvallato l’operazione con 63 voti favorevoli, 9 contrari (6 PS e 3 Verdi) e 2 astensioni.

Certo la SUPSI è pur sempre finanziata dallo Stato che ne detiene l’alta vigilanza, però l’intervento statale rimane molto limitato e, per esempio, non si applica né ai programmi, né alla scelta dei docenti.

I fatti mi hanno dato ben presto ragione: dal DFA, per svariati motivi, se ne sono andati, o sono stati indotti ad andarsene, oltre trenta docenti, molti dei quali conosciuti per le loro competenze disciplinari e pedagogiche e ben inseriti nel nostro sistema scolastico. Sono stati sostituiti da nuovi insegnanti, assunti secondo criteri universitari, in buona parte provenienti dall’estero e provvisti di un dottorato. Se poi il dottorato è in scienze della comunicazione invece che in scienze dell’educazione è ritenuto un dettaglio, così come può essere considerato un dettaglio il fatto che conoscano ben poco della nostra realtà.

A poco a poco sono affiorate situazioni di disagio, tanto da far dire agli studenti, su uno striscione appeso nel chiostro di S. Francesco, “Perché rimaniamo orfani delle colonne portanti della nostra scuola?” Colonne portanti che non sono certo i componenti della nuova direzione, direttrice in primo luogo, voluta per cambiare tutto e che ha esordito con grandi proclami secondo cui il Ticino sarebbe diventato una piccola Finlandia ma che ha finito con lo scontentare anche i suoi più accesi sostenitori.

Ma c’è di peggio: è appurato che il movimento “Comunione e Liberazione”, già ben radicato nell’Università della Svizzera Italiana, ha ormai piazzato parecchi suoi esponenti anche all’interno del DFA. Primo fra tutti un influente membro della direzione, responsabile della ricerca, che è contemporaneamente nel consiglio direttivo di una fondazione che gestisce tre scuole private. Certo, formalmente sarà anche tutto a posto, ma per me questo tenere il piede in due scarpe, rappresenta un pessimo segnale per la scuola ticinese.

Presente e futuro

 A inizio novembre è giunta, quasi inaspettata, la notizia della partenza o licenziamento della direttrice signora Rege Colet. La situazione di disagio e il malcontento manifestato a più riprese da una parte dei docenti e degli studenti hanno generato preoccupazioni a vari livelli, in primo luogo presso il DECS. Il consigliere di stato Manuele Bertoli si è adoperato, la scorsa estate, per trovare un accordo tra le parti, ma ormai era troppo tardi. Poi finalmente anche i vertici della SUPSI hanno capito che era inutile difendere ciò che non era più difendibile e si è così giunti alla decisione di cessare la collaborazione con la direttrice. Ora è difficile predire cosa si prospetta per il prossimo futuro. Certo è però che il cambio della conduzione, necessario ma non sufficiente, dovrà essere accompagnato da altri incisivi interventi. La formazione dei nostri docenti dovrà essere impostata su criteri che guardano alla realtà della nostra scuola pubblica piuttosto che alle ambizioni di chi, sotto sotto, si ispira a modelli già falliti in altri paesi.

Personalmente resto convinto che la delega degli studi magistrali al DFA sia stato un errore politico; meglio sarebbe stato un accordo di affiliazione alla SUPSI che, mantenendo l’istituto sotto l’egida dello Stato, lo inseriva comunque in ambito universitario. Mi rendo anche conto che ora è difficile, per non dire impossibile, tornare indietro, ma qualcosa si può fare. Ad esempio, in occasione del prossimo rinnovo del contratto di prestazione si potrebbe definire una nuova impostazione tale da consentire allo Stato non solo la vigilanza, ma anche maggiori possibilità decisionali.

di Francesco Cavallli